Nel panorama educativo contemporaneo, l’inclusione rappresenta un tema cruciale. Per comprendere meglio questo aspetto, abbiamo avuto l’opportunità di discutere con il Professor Dario Ianes, un’autorità nel campo della pedagogia e didattica dell’inclusione. La sua esperienza ci aiuta a capire come l’incremento delle diagnosi non sia sempre un fenomeno negativo, ma spesso il risultato di una maggiore consapevolezza e capacità di riconoscimento.
Il mondo delle disabilità certificate, ad esempio, è soggetto a procedure rigorose e controllate, con commissioni e certificazioni che ne regolano l’accesso. L’aumento delle diagnosi di disturbi dello spettro dell’autismo è dovuto sia a una migliore capacità di riconoscimento sia a un incremento reale, un fenomeno globale supportato da dati epidemiologici.
Per quanto riguarda i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), come la dislessia, la diagnosi non è un processo semplice. Richiede protocolli scientifici ben definiti dal Ministero della Salute, che includono test specifici per identificare correttamente le difficoltà. Questo processo non patologizza gli studenti, ma piuttosto li aiuta a ricevere misure didattiche personalizzate che supportano il loro percorso educativo.
Tuttavia, esistono disparità geografiche significative nel riconoscimento dei DSA. Al sud, ad esempio, i servizi di diagnosi sono spesso insufficienti, portando a ritardi nel riconoscimento e nell’accesso alle misure compensative.
Questo non significa che il sud “patologizzi” meno, ma piuttosto che c’è un problema di accesso ai servizi.
Infine, ci sono i Bisogni Educativi Speciali (BES), che non implicano una diagnosi medica ma piuttosto il riconoscimento di difficoltà educative specifiche. La scuola assume la responsabilità di identificare queste esigenze e attivare misure personalizzate per supportare gli studenti. Nonostante le preoccupazioni iniziali, non si è verificata una “patologizzazione” eccessiva, grazie alla responsabilità della scuola nel gestire queste situazioni.
La scuola deve essere vista come un’istituzione flessibile, capace di riconoscere e supportare gli studenti in difficoltà senza patologizzare le loro situazioni. Questo approccio non solo favorisce l’inclusione, ma contrasta anche la tendenza a demonizzare le diagnosi e a incolpare i genitori per la ricerca di facilitazioni. Tali discorsi, spesso basati su confronti con il passato, possono essere pericolosi perché minano gli sforzi verso una società più inclusiva.
È fondamentale evitare generalizzazioni come quella secondo cui i genitori sono più interessati alla promozione che alla formazione dei figli. Queste affermazioni possono essere fuorvianti e non riflettono la realtà, poiché non si considera la diversità delle situazioni familiari. La scuola deve invece impegnarsi a coinvolgere i genitori, mostrando loro i progressi dei loro figli e mantenendo un dialogo continuo. Questo ruolo culturale della scuola è cruciale per la crescita della comunità.
Tuttavia, questo compito è spesso sottovalutato e non sufficientemente riconosciuto all’interno dell’autonomia scolastica. La società, compresi i genitori, deve sostenere la scuola e valorizzare il ruolo degli insegnanti, che spesso non ricevono il riconoscimento sociale e politico che meritano. Durante la pandemia, abbiamo visto esempi di collaborazione virtuosa tra scuola e famiglia, come ad esempio la creazione di tutorial educativi. È importante continuare a sviluppare queste pratiche innovative per creare un sistema educativo più inclusivo e supportivo.
Inoltre, progetti sperimentali in alcune scuole, come l’introduzione di figure di assistenti educatori, possono rappresentare un passo avanti verso una maggiore inclusione e supporto per gli studenti. Questi sforzi dimostrano che è possibile costruire un futuro migliore per tutti, dove ogni studente possa trovare il suo posto e crescere in un ambiente supportivo e inclusivo.