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DSA e Celebrità

Vivere con Adhd, dislessia e disgrafia: la forza nel raccontare la propria diversità

Da sempre sentiva dentro di sé qualcosa di unico nel modo di pensare, ma la conferma concreta è arrivata solo due anni fa. Oggi, ancora, continua il suo percorso di accettazione e consapevolezza. Parola di Laura Chiatti, che ha scelto di rompere il silenzio sui suoi disturbi di attenzione e iperattività, condividendo il suo cammino in modo aperto sul profilo Instagram.

In vista del suo ruolo di madrina al Torino Film Festival, che prenderà avvio il 21 novembre 2025, l’attrice ha voluto raccontarsi senza filtri ai suoi follower: convive con la diagnosi di ADHD da due anni, unita a dislessia e disgrafia, disturbi spesso poco conosciuti ma profondamente impattanti nella vita quotidiana.

Laura ha spiegato che per lei è stato fondamentale trovare il coraggio di condividere queste sfide: «La mente che corre veloce, la difficoltà nel mantenere il filo del discorso… era chiaro che dentro di me qualcosa funzionasse diversamente. L’arte della recitazione lascia spazio a momenti di debolezza, ma anche a una creatività intensa e a una profonda sensibilità. Non cerco solo comprensione, ma voglio parlare soprattutto a chi si sente fuori tempo, in uno scontro continuo tra ciò che desidera essere e ciò che riesce a fare».

Con sincerità e autenticità, l’attrice, nota da oltre dieci anni nel panorama cinematografico con il film di Muccino “Ho voglia di te”, sottolinea quanto sia essenziale accettare e mostrare le proprie fragilità: «Sono sempre io, con tutta la complessità che mi caratterizza. Ho imparato ad apprezzare il mio valore e a non temere di mostrarmi vulnerabile. La vera forza sta in questo equilibrio tra debolezza e valore. Inoltre, il ruolo di madre è il regalo più prezioso che la vita potesse offrirmi, perché mi tiene radicata, con o senza luce. Siamo fatti di momenti luminosi e di pause, ed è proprio in queste ultime che spesso si nasconde la nostra parte più autentica».

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“L’uomo di latta”: quando la diversità non è un limite ma un modo diverso di stare al mondo

Il romanzo di Valentina Nuccio racconta Spiridione, un uomo diverso, metodico e sensibile: una storia di neurodivergenza, rinascita e nuovi inizi.

Spiridione Lobianco non è un uomo qualunque. È metodico, iper-strutturato, affezionato alle routine come fossero un’armatura. Osserva il mondo con uno sguardo che molti bollerebbero come rigido, eccentrico, “strano”. Ma Valentina Nuccio, nel suo romanzo L’uomo di latta, edito da Santelli Editore, ci invita a fare un passo oltre l’apparenza e a considerare un’altra possibilità: e se Spiridione non fosse strano, ma semplicemente diverso? E se quella diversità fosse un modo alternativo — e fragile — di abitare il mondo?

Pur non parlando esplicitamente di autismo o dislessia, L’uomo di latta affronta ciò che accomuna l’intero spettro delle neurodivergenze: la sensazione di essere fuori posto, il peso delle aspettative sociali, la necessità di proteggersi tramite routine, ordine, precisione. Spiridione vive così: incasellando la realtà per non esserne travolto.

A sessant’anni decide di fare la cosa più difficile per chi vive di equilibri interiori: cambiare. Lascia Monza e si trasferisce a Lecce, un Sud caldo e morbido, lontanissimo dal suo mondo regolato e prevedibile. È un trasferimento geografico, certo, ma soprattutto un vero terremoto emotivo. Spiridione cambia casa, cambia luce, cambia ritmo — e con questo cambia anche sé stesso.

Il romanzo di Valentina Nuccio racconta il cammino di un uomo che deve reimparare tutto: fidarsi degli altri, accettare che la vita non si controlla, comprendere che dietro la propria timidezza quasi metallica c’è una persona che può amare e lasciarsi amare. Un uomo che ha evitato per anni certe emozioni solo perché troppo intense, troppo disordinate, troppo ingestibili.

Molti lettori neurodivergenti — autistici, ADHD, dislessici o comunque “fuori dalle categorie” — riconosceranno in Spiridione un compagno di strada. Nei suoi silenzi, nel suo bisogno di chiarezza, nella sua fatica ad affrontare l’imprevisto. E forse anche nella bellezza che arriva quando permette finalmente alla vita di toccarlo.

Lecce, con le sue vie calde e il suo ritmo lento, diventa il luogo simbolico dove Spiridione può smettere di essere un “uomo di latta” — un contenitore chiuso, protetto, inattaccabile — e trasformarsi in qualcosa di nuovo, più aperto, più imperfetto, più vero.

La scrittura di Nuccio accompagna tutto questo con sensibilità e rispetto. Non forza nulla. Non “spiega” Spiridione: lo lascia essere. Ed è proprio questa delicatezza che rende il romanzo prezioso per chi si occupa di neurodivergenza: perché offre un ritratto non diagnostico, non etichettante, ma umano. Un ritratto di qualcuno che vive il mondo in un modo diverso, e che trova — tardi, ma con coraggio — una strada che gli assomiglia.

L’uomo di latta è un romanzo sull’identità, sull’autenticità e sulla possibilità di cambiare anche quando nessuno crede più che sia possibile. Ed è, soprattutto, un racconto di diversità che non chiede scuse.

Un romanzo che merita di essere letto proprio perché parla a chiunque si sia sentito “fuori posto” almeno una volta nella vita.