Lettera di una madre a docenti e istituzioni scolastiche
Sono la mamma di due ragazzi con Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) e desidero condividere una riflessione profonda sull’esperienza scolastica dei miei figli. Osservo con attenzione come parole, giudizi e classificazioni possano influenzare in modo decisivo la costruzione dell’identità e dell’autostima di un ragazzo.
Non scrivo per lamentarmi, ma per raccontare il dolore che si ripete ogni volta che mio figlio torna a casa con lo sguardo abbassato e il cuore appesantito. Questo sentimento non è solo suo, ma accomuna tanti giovani che quotidianamente si sentono “diversi” o “non all’altezza”.
Alla fine di questo anno scolastico, mio figlio si trova con una sospensione del giudizio in due materie. Non sarebbe un fatto eccezionale se non fosse per l’atteggiamento di alcuni insegnanti che, più che valutare, sembrano giudicare la sua persona. Da ottobre, con impegno e sacrifici, ha affrontato con determinazione un percorso in una scuola superiore di Ravenna, rinunciando persino allo sport per dedicarsi al recupero delle materie.
Eppure, il suo sforzo non è stato riconosciuto: ha ricevuto voti al limite della sufficienza e commenti che lo hanno fatto sentire “non all’altezza” o addirittura “sbagliato” per aver scelto quella scuola.
In altre discipline, come scienze, ha ottenuto ottimi risultati, dimostrando che con il giusto supporto può eccellere. Questo ci porta a riflettere: vogliamo davvero una scuola che etichetta e limita, o una che valorizza ogni studente? Il Piano Didattico Personalizzato (PDP) dovrebbe essere un vero strumento di inclusione, non una semplice formalità.
Racconto questa esperienza per informare e unire le tante famiglie che vivono situazioni simili. Ogni parola di un adulto lascia un segno indelebile nei ragazzi: può accendere la speranza o alimentare la paura.
E la paura, cari insegnanti, blocca l’apprendimento, la memoria e l’attenzione. Solo un ambiente sereno e fiducioso permette al cervello di attivarsi e imparare.
I DSA non indicano una minore capacità di apprendimento, ma un modo diverso di imparare. Esistono linee guida ministeriali, strumenti compensativi e metodi inclusivi che spesso, però, nella pratica quotidiana non vengono applicati. Troppi insegnanti vedono ancora i DSA come un problema da gestire, anziché come una sfida educativa da affrontare con competenza e sensibilità.
Il risultato è che molti ragazzi si sentono esclusi, etichettati e demotivati, intrappolati in una spirale di insicurezza.
La scuola non deve essere una selezione per i più forti, ma un luogo dove ogni studente, con i suoi limiti e talenti, si senta accolto e valorizzato. Dove un voto non sia solo un numero, ma un messaggio di fiducia.
Come famiglia, abbiamo cercato dialogo e collaborazione con insegnanti, referenti DSA e dirigenti, ma spesso abbiamo incontrato silenzi e indifferenza. Non chiediamo favoritismi, ma il rispetto dei diritti e una valutazione equa, che tenga conto delle reali esigenze educative.
Quanti altri ragazzi stanno vivendo questo stesso disagio? È ora di pretendere una scuola che non solo insegni, ma che sappia educare, accogliere e costruire.
Ogni giovane merita una possibilità, soprattutto quando il cammino è più difficile.
I miei figli non hanno bisogno di sconti, ma di fiducia, strumenti adeguati, tempo e soprattutto di educatori che credano in loro anche quando loro stessi faticano a farlo. Solo così si può nutrire l’autostima, fondamento imprescindibile per ogni apprendimento.
Non chiedo compassione, ma riconoscimento dell’impegno e sostegno. Scrivo affinché chi legge ricordi che ogni ragazzo è un potenziale straordinario e che le ferite subite a scuola possono durare anni. Nessun voto può valere più della gioia di sentirsi accolti.
Vi prego di ricordare che non correggete solo un compito, ma parlate al futuro di un essere umano.
Una madre che crede nell’educazione come atto d’amore e che da anni combatte questa battaglia.