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“L’uomo di latta”: quando la diversità non è un limite ma un modo diverso di stare al mondo

Il romanzo di Valentina Nuccio racconta Spiridione, un uomo diverso, metodico e sensibile: una storia di neurodivergenza, rinascita e nuovi inizi.

Spiridione Lobianco non è un uomo qualunque. È metodico, iper-strutturato, affezionato alle routine come fossero un’armatura. Osserva il mondo con uno sguardo che molti bollerebbero come rigido, eccentrico, “strano”. Ma Valentina Nuccio, nel suo romanzo L’uomo di latta, edito da Santelli Editore, ci invita a fare un passo oltre l’apparenza e a considerare un’altra possibilità: e se Spiridione non fosse strano, ma semplicemente diverso? E se quella diversità fosse un modo alternativo — e fragile — di abitare il mondo?

Pur non parlando esplicitamente di autismo o dislessia, L’uomo di latta affronta ciò che accomuna l’intero spettro delle neurodivergenze: la sensazione di essere fuori posto, il peso delle aspettative sociali, la necessità di proteggersi tramite routine, ordine, precisione. Spiridione vive così: incasellando la realtà per non esserne travolto.

A sessant’anni decide di fare la cosa più difficile per chi vive di equilibri interiori: cambiare. Lascia Monza e si trasferisce a Lecce, un Sud caldo e morbido, lontanissimo dal suo mondo regolato e prevedibile. È un trasferimento geografico, certo, ma soprattutto un vero terremoto emotivo. Spiridione cambia casa, cambia luce, cambia ritmo — e con questo cambia anche sé stesso.

Il romanzo di Valentina Nuccio racconta il cammino di un uomo che deve reimparare tutto: fidarsi degli altri, accettare che la vita non si controlla, comprendere che dietro la propria timidezza quasi metallica c’è una persona che può amare e lasciarsi amare. Un uomo che ha evitato per anni certe emozioni solo perché troppo intense, troppo disordinate, troppo ingestibili.

Molti lettori neurodivergenti — autistici, ADHD, dislessici o comunque “fuori dalle categorie” — riconosceranno in Spiridione un compagno di strada. Nei suoi silenzi, nel suo bisogno di chiarezza, nella sua fatica ad affrontare l’imprevisto. E forse anche nella bellezza che arriva quando permette finalmente alla vita di toccarlo.

Lecce, con le sue vie calde e il suo ritmo lento, diventa il luogo simbolico dove Spiridione può smettere di essere un “uomo di latta” — un contenitore chiuso, protetto, inattaccabile — e trasformarsi in qualcosa di nuovo, più aperto, più imperfetto, più vero.

La scrittura di Nuccio accompagna tutto questo con sensibilità e rispetto. Non forza nulla. Non “spiega” Spiridione: lo lascia essere. Ed è proprio questa delicatezza che rende il romanzo prezioso per chi si occupa di neurodivergenza: perché offre un ritratto non diagnostico, non etichettante, ma umano. Un ritratto di qualcuno che vive il mondo in un modo diverso, e che trova — tardi, ma con coraggio — una strada che gli assomiglia.

L’uomo di latta è un romanzo sull’identità, sull’autenticità e sulla possibilità di cambiare anche quando nessuno crede più che sia possibile. Ed è, soprattutto, un racconto di diversità che non chiede scuse.

Un romanzo che merita di essere letto proprio perché parla a chiunque si sia sentito “fuori posto” almeno una volta nella vita.

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