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Dislessia: un viaggio da stigma a forza – l’esperienza di Giampaolo Morelli

Giampaolo Morelli ha condiviso la sua esperienza di dislessia durante un episodio di Le Iene, rivelando le sfide affrontate nella sua infanzia. Sin da piccolo, si sentiva diverso: le lettere nei libri sembravano sfuggire, rendendo difficile il ricordo di nozioni fondamentali come nomi di capitali e misure. In un contesto educativo degli anni ’80, la dislessia non era riconosciuta e i bambini come lui venivano etichettati come “stupidi”, senza alcuna comprensione delle loro difficoltà.
Oggi, la dislessia è vista come un disturbo dell’apprendimento, ma Morelli invita a considerarla anche come una forma di intelligenza alternativa. Sottolinea che il suo modo di apprendere, simile a quello di geni come Leonardo Da Vinci e Einstein, presenta vantaggi unici.
Piuttosto che considerare le differenze come debolezze, Morelli propone di valorizzare le peculiarità di ogni studente.
La vera sfida per il sistema educativo è adattare i metodi d’insegnamento alle diverse esigenze, trasformando ciò che viene percepito come un ostacolo in un’opportunità per costruire punti di forza.

Inizia così il monologo di Giampaolo Morelli a Le Iene

«Io sono dislessico. Lo sono sempre stato eh, già da bambino. Avete presente la frase che i professori ripetevano sempre quando i nostri genitori andavano a colloquio? “Signora, il ragazzo è intelligente, potrebbe fare di più ma non si applica”, sempre questa frase no? Ecco mia madre era una delle poche elette a cui dicevano “Signora, il ragazzo si applica pure, ma è completamente scemo…..avevo solo 7 anni e quando guardavo un libro mi sembrava che le lettere si staccassero dalle pagine per andare a nascondersi.
Io non riuscivo mai a ricordare i nomi delle capitali, dei fiumi, mentre una semplice equivalenza poteva farmi impazzire. Oppure anche gli ettolitri, i decimetri, i decametri… Che, poi, nella vita, chi li ha mai più incontrati sti ca*** di decametri? Diciamoci la verità: dopo le scuole elementari si sono estinti i decametri. Ecco, a quel tempo, all’inizio degli anni ’80, le diagnosi di dislessia non c’erano e nemmeno la pietà c’era. Eri solo un bambino stupido, costretto a soffrire e a vivere in silenzio il tuo senso di inadeguatezza. Oggi, la dislessia è riconosciuta come un disturbo dell’apprendimento, ma a me piace vederla anche come un’attitudine differente. Pensare che il mio cervello, come quello di Leonardo Da Vinci, Walt Disney, Beethoven, Einstein e decine di migliaia di ragazzi in Italia, semplicemente funzioni in maniera diversa. Sì, perché noi dislessici abbiamo un modo tutto nostro di imparare le cose che diventa un ostacolo solo quando si ostina a utilizzare metodi di insegnamento uguali per tutti anziché adattarsi alle caratteristiche di ogni studente valorizzandole.

Credo che sia questo che la nostra scuola e la nostra società devono imparare a fare ogni giorno di più, perché laddove qualcuno vede delle differenze da appianare, delle debolezze da nascondere o da curare, io, invece, vedo sempre dei punti di forza su cui costruire»

elpupotto

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